“Terapie intensive chiuse da anni, ospedali da riaprire”

Come in ogni storia italiana che si rispetti, non si è fatta attendere la polemica politica. In questo caso a parti invertite. Mentre nel Lazio non si placano le critiche nei confronti della giunta di sinistra di Nicola Zingaretti, segretario nazionale Pd che dal 2013 ha chiuso 16 ospedali, in Lombardia sono proprio esponenti dello stesso partito a sollecitare la giunta leghista di Attilio Fontana perché torni sui propri passi rispetto alle dismissioni di tre ospedali.Lo chiede con forza la consigliera regionale del Pd Carmela Rozza: “Insistiamo sulla utilità di riattivare alcuni degli ospedali dismessi della Lombardia – dichiara Rozza – e individuiamo i casi di Legnano, di Giussano e di Vimercate. Queste strutture potrebbero essere recuperate relativamente in poco tempo e messe a disposizione del sistema sanitario per affrontare l’aumento dei ricoveri per Covid 19 e il sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva e sub intensiva. A Bergamo c’è il vecchio Papa Giovanni XXIII – incalza l’esponente Pd – a Pavia si potrebbe utilizzare il Dea dismesso del San Matteo”. Si affianca a questa la voce degli stessi lavoratori del nosocomio legnanese, attraverso i rappresentanti sindacali Cobas, che in una nota inviata al presidente della Regione Fontana e al commissario straordinario Guido Bertolaso, contestano la realizzazione dell’ospedale in fiera. “Probabilmente Bertolaso non è a conoscenza di una struttura che ha tutte le potenzialità per accogliere velocemente nuovi pazienti proprio qui vicino all’ex zona fiera – esordiscono – non vogliamo entrare in polemica sulle vecchie vicissitudini e lo spreco di denaro pubblico della nostra storia sanitaria regionale ma sottolineiamo che proprio a Legnano, a poca distanza da quell’area c’è il vecchio monoblocco e ben due padiglioni realizzati e predisposti10 anni fa con tutte le attrezzature”. La vecchia struttura è dotata di camere già attrezzate con predisposizione di ossigeno, una rianimazione, reparti di terapia intensiva attualmente chiusi mentre resta aperto e funzionante in una struttura nuovissima un prezioso laboratorio di analisi. Una risorsa che avrebbe garantito immediatamente centinaia di posti letto senza grandi affanni e magari, le risorse da parte di privati impegnate per l’allestimento in fiera, avrebbero potuto favorire l’acquisto di dispositivi di protezione per gli operatori, merce rara attualmente, la cui penuria potrebbe aver favorito la diffusione dei contagi in ambiente ospedaliero e nelle residenze sanitarie per anziani, dove è in atto una strage. La storia degli ospedali sacrificati a interessi diversi non si esaurisce nel milanese. Basta spostarsi nella vicina Liguria, dove il comitato civico Val Bormida è in fibrillazione per quello di Cairo Montenotte da poco chiuso, per cui è in atto una mobilitazione senza precedenti. “Riteniamo errata la scelta di chiudere l’ospedale di Cairo Montenotte nel pieno di una emergenza sanitaria”, scrivono nella petizione lanciata online indirizzata al presidente della Liguria Giovanni Toti. “Tale nosocomio rappresenta un presidio sanitario imprescindibile per gli oltre 40mila abitanti di un territorio come la Val Bormida estremamente disagiato e con una forte presenza di popolazione anziana. Inoltre la configurazione territoriale è a rischio idrogeologico con forti criticità nella viabilità”, continua il testo. La preoccupazione dei cittadini è grande perché il vicino ospedale di Albenga e il San Paolo di Savona sono stati riconvertiti ad assistenza Covid 19 mentre non ci sarebbe più possibilità di accoglienza per pazienti con altre patologie. E non si è fatta attendere la voce dei sindaci del territorio, che hanno scritto alla Regione per chiedere chiarimenti sulla decisione presa ed essere rassicurati sul futuro del presidio. Nella nota inviata a Toti i primi cittadini liguri esprimono “rammarico, perplessità, enorme preoccupazione per le conseguenze derivanti dalla chiusura dell’ospedale di Cairo, sebbene consapevoli che la decisione sia assunta con grande competenza, etica e senso civico”. Decisioni contestate, comunità inascoltate, amministratori locali preoccupati. Da una parte la collettività, dall’altra le regioni, sorde a ogni sollecitazione da parte di persone che hanno eletto coloro che dovrebbero rappresentarli.

Michel Emi Maritato

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